IL GIUDIZIO UNIVERSALE DELLA MODA AL CENTRO DELLA SFILATA (E DEL PENSIERO) DELLA MAISON MILANESE
La collezione Prada autunno/inverno 2020-21 è dicotomica, per diversi motivi. A cominciare dalla cornice in cui ha avuto luogo la sfilata durante la settimana della moda di Milano: Fondazione Prada Deposito. Lo spazio è stato suddiviso in due parti uguali, sotto forma di due piazze, due agorà, con per entrambe al centro una versione in rosso della statua di Atlante che regge il peso del mondo. Mentre la stampa, i buyer e i blogger sedevano sopra, pronti a osservare ogni uscita in passerella.
Metaforicamente, allora, si può leggere la scenografia con ironia: il pubblico della moda è sempre pronto a giudicare ogni collezione. Buona o cattiva che sia. E sono i brand, rappresentati dalle modelle, a subire le critiche. Ma il discorso non può ridursi qui. Non nel caso di Prada. È sotto gli occhi di tutti il fatto di vivere in un mondo in cui il criticare senza alcun diritto e remora è diventano quasi un bisogno vitale, come bere e mangiare. Responsabili sono i social, tanto quanto una cultura incapace di affrontare la banalità del quotidiano, cosa che fino a quarant’anni fa le veniva quasi naturale.
I COLORI, LA SILHOUETTE E LA MINIBAG
Rosso, bianco e nero sono le tinte assolute che campeggiano molte delle uscite. Non mancano i beige, così come delle delicate e allo stesso tempo forti – e qui ritorna la dicotomia – uscite in lilla e giallo. Alcuni sprazzi di verde e fucsia, stemperano la severità del trittico di cui sopra. Ma il dualismo è anche nella silhouette: capispalla pesanti si indossano sopra abiti e gonne semitrasparenti; camice abbottonate e aderenti, sobrie e precise, sfidano la sensualità di spacchi audaci. Il tutto in perfetto equilibrio. Anche quando per qualche istante entrano in passerella dei colori pop, visti sui bomber over, sugli stivali e sulle uscite dedicate alla redidiva Linea Rossa di Prada. Deliziose come cadeaux le minibag.
Giudicate, giudicate, sembra voler dire Miuccia Prada con la sfilata Prada autunno/inverno 2020-21. Ma alla fine, quello che conta, è il capo, prima pensato, poi lavorato e infine finito. Conta la personalissima idea della stilista sulla femminilità e il rapporto di quest’ultima con lo zeitgeist. E, in questo caso, vale molto.
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