Ambiente, eco-sostenibilità e moda. Tre parole molto in voga che in quel di Abu Dhabi hanno visto unirsi, con lo stesso obiettivo, ovvero rendere più consapevole il pubblico della situazione attuale del nostro pianeta, tre designer emergenti internazionali: Francesca Liberatore dall’Italia, Cristina Burja e lo stilista sud africano David Tlale.
Sappiamo che non possiamo più cambiare le condizioni in cui versa la Terra: alla recente conferenza sul clima tenutasi a Parigi hanno ribadito che siamo al collasso e che tutti dobbiamo collaborare per cercare di migliorare le cose. Anche l’industria della moda. Così la nota agenzia GD Major Entertainment ha organizzato una quattro giorni di sfilate ed eventi, dedicata a questo tema, presso l’esclusivo Shangri-La Hotel di Abu Dhabi.
Giovedì 31 marzo, al tramonto su una delle suggestive spiagge del resort, modelle hanno sfilato con abiti che volevano proporsi come manifesto di un nuovo modo di pensare e di vivere. Senza trucco e lacca tra i capelli, per essere coerenti con il tema dell’eco-sostenibilità, le mannequin di Francesca Liberatore hanno vestito abiti, per la maggior parte in seta, che traducevano in moda i danni causati dall’abuso di plastica con l’ausilio di un lussureggiante e sofisticato jaquard raffigurante uccelli con questo elemento così altamente inquinante, appunto, in bocca. Un’immagine forte, d’impatto, ma mai fastidiosa. La silhouette è quella dell’ultima collezione invernale presentata a New York, ma il mood è diverso, adattato al tema e ai costumi arabi: lunghezze importanti si mescolano fluidamente a capi dal tratto più sportivo e a pantaloni abbinati a blouse moderne e chic. Un made in Italy creativo ma consapevole di cosa oggi vogliono le donne oggi: tessuti di ottima qualità e abiti tagliati e realizzati perfettamente.
Cristina Burja e David Tlale hanno puntato tutto sui materiali, prediligendo tessuti tecnici e colori come bianco, nero, oro, verde smeraldo e rosa, il tutto impreziosito da piume (finte) e glitter. Hanno invece percorso due strade diverse per quanto riguarda la loro personale idea di donna: per Burja veste caftani, e abiti pensati, studiati, per il guardaroba femminile arabo; mentre per Tlale, che ha portato ad Abu Dhabi la sua Africa, indossa stampe e volumi importanti. Ottime idee ma, purtroppo, poca attenzione a quei dettagli che avrebbero fatto la differenza: cuciture e simmetrie.
Un primo giorno molto interessante, pieno di spunti di riflessione. Infatti, fino a che punto si può parlare di eco-sostenibilità quando si realizzano abiti con fibre sintetiche e quindi, spesso, create da industrie chimiche altamente inquinanti? Forse la risposta arriverà il 2 aprile quando Abu Dhabi tornerà a essere passerella per altri due stilisti – Etienne Jeanson e Sohad Acouri – e per gli studenti dell’Istituto Caterina Da Siena. Sempre qui all’Abu Dhabi fashion sustainability experience.
ph courtesy: Vittorio La Fata
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