Architettura e moda possono sembrare come una tartare di tonno con i ribes, un abbinamento azzardato. Ma la storia di Zilla e della sua fondatrice, Sylvia Pichler, originaria di Bolzano, scrive un’altra trama, in cui progettualità e creatività si fondo nelle sue borse, caratterizzate da un perfetto equilibrio estetico e funzionale. Questa fabula l’ha raccontata per Wait! la stessa designer, incontrata a Milano qualche settimana fa, durante la presentazione della collezione autunno-inverno 2018, protagonista delle immagini.
Sylvia dall’architettura alla moda, con la fondazione di Zilla. A cosa devi questo percorso?
Sono figlia di un architetto e fin da piccola passavo pomeriggi interi nell’ufficio di mio padre a disegnare su vari tipi di carte e veline, con pennarelli che al giorno d’oggi non esistono neanche più, perché tutto è stato sostituito da computer e programmi in 3D. Ho quindi scelto di studiare architettura dato che ero attratta da questo mondo, ma il mio pensiero fisso è sempre stato quello della moda sin da quando ero ragazza: a 14 anni già cucivo le mie prime borse con ago e filo.
All’università sono stata poi incoraggiata a dare sfogo alla mia creatività e ho iniziato a cucire borse con materiali che usavo per fare i plastici architettonici: spugne, filtri, siliconi, sughero ecc. Le mie borse attiravano l’attenzione di amici, studenti e professori. Un mio caro amico, che fa cappelli, mi suggerì di partecipare a Pitti che allora faceva una fiera selezionata a Milano che si chiamava Cloudnine. Da quel momento sono partita con le idee ben chiare e ho fondato Zilla.
Nel 2005 il mondo viveva una guerra e Obama non era ancora presidente. Da parte tua, invece, hai dato vita al tuo brand: quali aspetti di esso sono rimasti immutati e quali, invece si sono evoluti?
Nel 2005 le mie borse erano ancora molto più sperimentali e artigianali, perché ogni esemplare era cucito a mano da me e da una ragazza che mi aiutava. I modelli erano diversi, molti di loro imbastiti da con un solo materiale. È stato difficile inizialmente trovare un laboratorio per cucire le borse a macchina, dato che i miei materiali “strani” non invitavano i pellettieri classici a fare delle prove. Nel 2007 finalmente ho conosciuto l’artigiano con il quale collaboro tuttora: adesso le mie borse sono rifinite molto meglio.
I tuoi modelli sono sinonimo di sperimentazione. Puoi approfondire questo aspetto e i motivi?
Ho sempre avuto un debole per i materiali tecnici grazie ai quali posso creare qualsiasi tipo di forma, e sono attratta dall’idea di mettere questi materiali – che derivano per la maggior parte dall’edilizia – in un altro contesto e quindi di cambiare totalmente la loro funzione originaria. Ho un debole per le lamine in metallo e tutto ciò che brilla. Trovo che la combinazione tra pellami pregiati e lamine metalliche dia un nuovo aspetto alle borse. E anche una nuova funzionalità.
Allora ti chiedo: quale aspetto prevale di più, quello funzionale o estetico?
Sicuramente prevale l’aspetto estetico. La duttilità della borsa la rende particolare e sorprende sempre. Ma sono molto sodisfatta quando un modello è anche funzionale. Un aspetto positivo delle mie borse è sicuramente la leggerezza e il fatto che la fodera interna argentata facilita la ricerca infinta delle chiavi di casa.
Qual è il tuo mercato di riferimento?
Adoro i giapponesi, da sempre ottimi clienti.
Quali sono, infine, i progetti per il futuro?
Il progetto che al momento mi stimola maggiormente sono delle collaborazioni con vari artisti. Non voglio fare nomi, ma questo connubio con l’arte, le riflessioni e lo scambio di idee che ne derivano mi divertono tantissimo.
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