Genio e sregolatezza? Forse, ora, sarebbe più corretto riformulare questo mutabile binomio, andando a dividere le parole, già di loro, per significato, ben distinte. Da una parte la genialità fatta di inspiegabile emotività ma non per questo priva di guida e regole. Dall’altra parte l’assenza di regole: una vera e propria anarchia creativa concessa a pochi, perché come un mostro raro è difficile da domare. In questo dizionario creativo, ormai da diversi anni, è stato classificato Kanye West, detto anche Ye, il quale per primo si va a riporre, elogiandosi da solo a ‘’l’uomo del domani’’ (una sorta di guida per l’umanità smarrita), sotto il verbo del futuro. Un domani assecondato da notorietà smisurata e successo mediatico che lo hanno portato ad avere milioni e milioni di seguaci, follower della vita di tutti giorni, disposti ad annullare in nome dell’hype, i principi personali.
Ma è realmente così? Siamo realmente capaci di affidare ad una figura così contraddittoria il nostro giudizio estetico ed etico? La risposta è molto più articolata di un secco si e di un secco no, perché scavando a ritroso dobbiamo ricordare che è stato il suo stesso pubblico ad elargirlo con onori ed oneri e che ora sembra richiedere indietro la corona.
Era il 2008, quando durante la stagione degli show di Parigi, un giovane gruppo di ‘’black lives’’ protestava, silenziosamente, fuori dai grandi nomi della moda perché nelle maison erano pochi se non inesistenti i designer di pelle ‘’non chiara’’. Tra questi vi erano West e Virgil Abloh, i quali avrebbero un domani raggiunto posizioni elevate in un sistema che definiremmo più inclusivo. Già da quel momento West avrebbe coniato una moneta di scambio con il pubblico, che non sempre si vedeva usare nella moda che per quanto ideale risponde sempre alla pratica e spudorata legge del mercato, ovvero la verità celata, quella che nessuno vuole narrare, ma che solo lui è determinato a mostrare, fatta di denuncia ed emancipazione sociopolitica. E da lì un susseguirsi di collezioni del suo brand Yeezy, che, tra colori neri e rosei, quasi a seconda pelle, e forme over boxing, propugna un messaggio di rivoluzione, che lui annuncia a nome di una speranza incessante, che però dagli ultimi eventi appare segnare un’involuzione, cioè un ritorno indietro, verso le origini, che a guardarle ora sembrano così distanti e diverse, mutate al passo dei tempi.
Le maglie ‘’white lives matter’’, lo show fatto di giovanissimi appena compiuti i dieci anni, i cori mistici che risuonano tra shapes ‘’ispirate’’ dai grandi maestri come Rei Kawakubo e Yamamoto: ma, allora, non doveva essere lui la guida verso il progresso e l’apertura? Dove sono finiti i principi liberali? Non è dato sapersi, forse sono stati smarriti lungo un percorso che non ha mai incontrato un confronto ed un ostacolo, continuamente elogiato dai media e amato dalle firme dello star system del quale ricordiamo far parte, da ancor prima del suo arrivo nel regno dell’abito, in veste di cantante. Solamente ora la press coverege sta allentando i propri rapporti con il designer, il quale non manca in scontri social, come quello rivolto a Lynette Nylander, executive editorial director di Dazed Media, che lo aveva definito un uomo irrisorio dai principi volubili, al quale West ha risposto con illazioni e critiche, proprio lui che l’aveva invitata come guest al suo ultimo secret show.
Una poetica dell’assurdo alla Kanye West dove tutto ha un espediente morale ed è volto ad un insegnamento che non può e non deve giustificare il mezzo.
Tra verità e alterazioni del vero, Kanye West, per gli amici detto anche lo ‘’Steve Jobs della moda’’, non è altro che una riconferma di quanto il potere risieda nel pubblico che in pochi e semplici gesti, dall’acquisto al post su Instagram, può consolidare un meccanismo accentrativo sul singolo, eletto a sovrano di una realtà sdoppiata con la quale dobbiamo fare i conti.
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