Wait! Fashion cambia look. Si rinnova. Cambiare fa bene. Ma lo sta facendo anche la moda? A che punto è il settore seconda voce del bilancio, almeno in Italia? Dopo Pitti Uomo a Firenze e le sfilate di New York, Londra, e questi primi tre giorni della Settimana della Moda di Milano, per la presentazione delle collezioni da indossare il prossimo inverno, si prova a fare una fotografia dei trend, quindi dei look, senza dimenticare quelle scelte condizionate dalle necessità commerciali: cosa richiede il pubblico oggi?
Questa analisi muove da quei marchi definibili indipendenti, che non hanno bisogno di stravolgere il loro aspetto per vendere. Quelle realtà le quali nel tempo, anche se relativamente giovani come l’americano Thom Browne, nato come brand di ready-to-wear nel 2003, oppure Off-White c/o Virgil Abloh, sul mercato dal 2014, o ancora Massimo Alba e il suo made in Italy poetico e sofisticato dal 2006, sono state in grado di affermarsi e di creare la loro nicchia di clienti. Non è possibile omettere tra le nuove leve Francesca Liberatore, in passerella sabato 24 febbraio a Milano, dopo aver presentato diverse stagioni a New York. Essere autarchici dalla moda, intesa come quel processo temporaneo che richiede di essere seguito dalla massa per esistere, non significa essere privi di inventiva, ma solamente perseguire la propria strada e passione utilizzando criteri di lavoro personali, poco influenzati dal resto, ad esempio i social network.
Prada fa parte dei brand analisti, ovvero quelli che creano una collezione avendo come base la medesima silhouette, sulla quale però viene tradotto sotto la forma di stampe, colori e tessuti, ogni volta diversi, il mondo al di fuori di quello fashion, comprendendo quindi l’arte – molto cara a Miuccia Prada -, la società, la tecnologia, quindi anche il web e i nuovi meccanismi di comunicazione interpersonale via immagini, Instagram su tutti. Neanche a farlo apposta, l’ultima collezione donna presentata ieri sera, ha riflettuto sul tema dell’identità, ponendo, al posto del fiore all’occhiello di un blazer, una sorta di badge – sì proprio quello che si usa per identificare, appunto, una persona sul luogo di lavoro. Come a dire: “A cosa corrispondiamo noi donne oggi, nell’era cibernetica?”. Ma non è solo il marchio milanese a svolgere questa analisi. Al di là delle opinioni personali, la stessa sfilata di Gucci disegnata da Alessandro Michele, ha messo in abiti il suo punto di vista in merito, estendendolo anche all’uomo. Lucio Vanotti, nonostante la giovane età del brand, nato nel 2012, propone, dalla sua nascita come designer, una moda attraverso uno sguardo critico, compiendo analisi razionali dello zeitgeist riportandole nella sua estetica.
“Il progresso è tale solo se attivato da azioni positive, altrimenti si ha un regredire.” È uno dei tanti concetti di Giovanni Sartori, applicabile al moda attuale, in particolare alle maison le quali, piuttosto che studiare la società, la seguono. E oggi questa community comprende lo street-style, insieme a quella corrente estetica definita sports-couture. Il punto è che ci sono coloro che lo sanno fare bene – per inventiva o perché godono di consulenti molto attenti alla domanda del pubblico – e altri meno. Tra coloro che hanno centrato l’obiettivo, soprattutto per quanto riguarda l’abbigliamento maschile, troviamo nuovamente Vanotti e Alexander Wang, anche se i primi outfit usciti durante l’ultima sfilata erano molto vicini agli iconici look di Saint Laurent e Versace. E a proposito di quest’ultimo, si tratta del classico esempio di casa di moda, il cui team creativo si interfaccia costantemente con le necessità dei trend, per motivi commerciali, of course. Ma lo fa piuttosto bene: in poche stagioni Donatella è riuscita a essere sia designer che imprenditrice, facendo riscoprire il brand alle nuove generazioni di millennials. Staremo a vedere cosa ci riserverà la sfilata di questa sera.
Ed è con il futuro che si inaugura l’ultima traccia stilistica da affrontare, quella dei marchi all’avanguardia. Se fino a qualche anno fa si poteva contare sull’estro di Gaultier e Victor & Rolf, attualmente creatori di collezioni Alta moda, oggi ci si rifà agli ultimi rimasti: Maison Margiela, Yohji Yamamoto, Issey Miyake e a Comme des Garçons. Marc Jacobs si colloca nell’ ipotetica classificazione a fasi alterne, ma con la collezione donna presentata all’ultima fashion week di New York, è possibile inserirlo, almeno per ora, tra questi nomi, i quali, per interpretarli nuovamente, dovremo attendere le sfilate di Parigi delle prossima settimana.
Dunque, rievocando la domanda iniziale: a che punto è la moda? Questa analisi, benché sintetica, dimostra che non c’è omologazione, almeno non da parte di chi imbastisce le collezioni. Certamente oggi viene prediletto lo sportswear, ma non vale per tutti e in particolare non allo stesso modo per ognuno. Una volta tanto, il fashion-system può essere tradotto se non come un qualcosa di positivo, come una realtà dinamica, in evoluzione.
photo courtesy: vogue.com / mustfashion.eu
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