Qualche mese fa vi avevamo parlato del giovane designer di origini turche: Emre Pakel che, pian piano si sta facendo strada nello scenario milanese grazie ad un processo creativo in cui la sostenibilità e la trasformazione dei materiali convivono perfettamente, creando un qualcosa di innovativo, essenziale e funzionale. Oggi, infatti, per la rubrica MeetTheBrand vi proponiamo un’intervista con il founder dell’omonimo marchio. Abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con il designer e conoscere meglio la sua visione creativa, da cosa prende ispirazione e come riesce a veicolare la causa ambientale nelle sue collezioni, specie quella climatica. Una tematica sempre più importante per cui anche un mezzo potente come la moda può fare la differenza.
Ciao Emre, grazie di aver accettato la nostra proposta. Partiamo dall’inizio della tua storia: ti va di raccontarci del tuo background? Quando nasce la passione per la moda e come sei arrivato a fondare il tuo brand?
Ho iniziato il mio viaggio dopo aver vinto prestigiosi concorsi di fashion design a Izmir e Istanbul, in Turchia. L’essere stato nominato dalla Aegean Export Union Ready to Wear Competition, ha dato poi inizio alla mia carriera. Ho organizzato fashion show sponsorizzati dalla Mercedes Benz per 2 stagioni. Così, tutti i risultati ottenuti in concorsi di fashion design nazionali e internazionali mi hanno spinto a continuare la mia carriera. Nel 2018 ho creato il mio marchio Pakel con focus sul design del prodotto, e ora sto lanciando la mia carriera a Milano.
Quanto le tue origini turche e la tua formazione in Italia hanno influenzato, in termini di stile, la tua visione creativa?
Non credo molto nelle origini, piuttosto sono convinto che tutti noi apparteniamo alla terra in quanto esseri umani, anche se non ne siamo consapevoli. La formazione acquisita in Italia presso la Domus Academy di Milano, è stata il mio trampolino di lancio nel fashion system, ed è lì che ho acquisito molta esperienza. Gianfranco Olivotto, in particolar modo, è stato un leader visionario all’interno della Domus nel farmi comprendere le nuove regole del mondo della moda.
Per chi non ti conoscesse ancora, come definiresti il tuo brand in tre parole?
“Based on Earth!”
A cosa ti sei ispirato per la tua ultima collezione “Isn’t less Enough?” Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?
Prima di cadere nel mondo dei miei sogni, ho deciso di confrontarmi con la realtà e ho aperto le ante mio armadio. Mi sono posto delle domande e ho cercato di trovare le risposte. “Cosa indosso e soprattutto, quando e perchè indosso questi abiti? Cosa del mio guardaroba è davvero indispensabile nella mia routine quotidiana? Perché mi vesto? Ho davvero bisogno di tutti questi vestiti? L’inquinamento che ho causato nell’ambiente è più grande del mio guardaroba come designer? Dopo tutte queste domande, mi sono chiesto: “È possibile realizzare tanti capi con un numero limitato di materiali? ”, e così ho iniziato la mia collezione. Mi sono interessato alla sostenibilità dal 2016, ma mi sono chiesto: se diamo una seconda possibilità a un prodotto, questo trova il suo primo e ultimo destino? Pensavo che le persone fossero in loop nel creare spazzatura generata da ulteriore spazzatura senza mai arrivare ad un punto. Era ora di essere onesti. Il riciclo è solo una soluzione temporanea, ma per quanto riguarda il futuro?
Quali sono i materiali/ tessuti e le tecniche di lavorazione che solitamente prediligi?
Nel mio guardaroba trova spazio il trench in poliestere riciclato da bottiglie di plastica e la felpa, un luogo nascosto della mia creatività. Ad oggi la sostenibilità è uno stile di vita, e noi, come designer, al momento con la nostra creatività dobbiamo alimentare le misure di protezione globale. Ad essere onesti, nessuno ha avuto bisogno di una nuova giacca durante la pandemia. Tutto ciò di cui avevamo bisogno era ispirazione e un pò di speranza per il nostro futuro. Mostrare più design con meno materiali è la mia missione per il futuro.
Perdersi in abbondanza o esistere nella rarità?
I tuoi lavori pongono al centro la sostenibilità, come riesci a veicolarla attraverso le tue creazioni? E soprattutto in che modo un brand può ridurre l’impatto ambientale?
Ci sono troppi designer e nuovi marchi e tutti sono abbastanza bravi in quello che fanno. E li rispetto tutti. Tuttavia, quando chiedo alle persone di dirmi un prodotto, uno stile o un simbolo che descrive quel prodotto, non ottengo molte risposte. Sento che questa sia un’abbondanza del tutto effimera. Sia per il mondo che per i marchi. I marchi consolidati conservano la loro identità, stile e capi iconici da molti anni. Ma per quanto riguarda noi? Ci siamo persi da molto tempo e questo sta avvelenando non solo noi, ma anche l’ambiente adesso. Quando l’ho capito, ho iniziato a pensare come il mio marchio si riflettesse agli occhi delle persone. Mi sono reso conto che la mia prima creazione “Spyumbrellabag” conserva ancora la sua anima nonostante il passare degli anni. Nel mio nuovo brand, ho aggiornato la mia borsa iconica e l’ho ridisegnata per essere utilizzata come abito allo stesso tempo. Ci sono così tante possibilità nel mondo e sta a noi fare qualcosa. È un nostro compito: perdersi in abbondanza o esistere nella rarità?
I grandi marchi dovrebbero supportare i brand emergenti agendo da mentori e supporto finanziario.
Quali sono le difficoltà che hai affrontato e che affronti tutt’ora nel portare avanti un brand indipendente? Hai qualche consiglio da dare a riguardo?
I grandi marchi dovrebbero supportare i brand emergenti agendo da mentori e supporto finanziario così da creare nuovo respiro e visione nel mondo della moda. Questa è il processo alla base della vera sostenibilità in ogni fase della nostra vita.
Come hai sviluppato la comunicazione del tuo brand? Credi che i social siano fondamentali per permettere ad un designer emergente di farsi conoscere?
I social media sono uno strumento così potente nella comunicazione di un brand. Io confido nella mia creatività e i miei sostenitori fanno altrettanto. Non si è mai trattato di soldi o collaborazioni con altri artisti, è sempre stata una questione di mente giovane e creativa. Vivere la storia della tua collezione mentre la scrivi ti rende il vero proprietario. Prima che iniziassi a lavorare alla mia collezione, ho conosciuto molti attivisti sostenitori della causa climatica, e sono diventato amico di alcuni. Li ho ascoltati e ho cercato di capirli. È stato un percorso che mi ha portato a riflettere su come supportarli con uno degli strumenti di comunicazione più influenti: la moda. Mi sentivo abbastanza potente all’interno di una generazione molto cosciente: difendevamo tutti la stessa cosa con linguaggi diversi. Volevamo mostrare perché fosse necessario essere sostenibili prima di realizzare la collezione.
Portando avanti la causa con Elliot Magyar Santeen (giovane attivista) volevo incoraggiare le persone intorno a me e il trench verde ne era un simbolo. Mentre la speranza rimaneva stabile, i messaggi cambiavano. Il pubblico era ancora lì quando abbiamo chiesto “Siamo ancora qui?”. Non era tardi per fare ancora qualcosa. Imparando dai nostri errori, abbiamo così iniziato a plasmare il futuro. La crisi climatica e le disuguaglianze globali ci impedivano di essere sostenibili. Eppure, i materiali possono essere sostenibili contrariamente all’umanità. La collezione è stata, infatti, il primo strumento con cui ho dato voce al mio cambiamento, nonché indice della mia azione. Prendere misure preventive per un futuro sostenibile è una responsabilità di ogni cittadino del mondo, e il mondo ha bisogno di noi. È tempo di prendervi parte.
Se dovessi scegliere un brand da cui trarre ispirazione e con cui ti piacerebbe collaborare, chi sceglieresti?
Sono totalmente fan della visione di Maison Margiela.
Un ultima domanda prima di salutarci…cosa c’è nel futuro di Pakel? Puoi svelarci qualcosa?
Abbiamo un solo desiderio: “Transform the Fashion to Sustainist Circulation for Earth”
CONTATTI
IG: @emrepakel
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Nel caso te lo fossi perso…
Emre Pakel: “ISN’T LESS ENOUGH?”
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