Sperimentare. Questo è il verbo che accompagna la collezione per il prossimo inverno di Atsushi Nakashima, l’eponimo marchio del designer giapponese che ha sfilato a febbraio durante la settimana della moda di Milano.
“Ciò che fa artista l’artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente”. Così scriveva il filosofo Adriano Tilgher in Studi sul teatro contemporaneo (1924). E questo approccio, complesso, certamente, ma stimolante dal punto di vista creativo come fosse quasi una provocazione, è il medesimo che ha portato lo stilista, già assistente di Jean Paul Gaultier, a creare abiti concettuali e sperimentali, così come portabili.
E se mettersi alla prova è la cifra creativa del designer, quella stilistica si traduce in una demolizione e una costruzione di un abito che, nell’uscita successiva, si trasforma in qualcos’altro alla vista. Un processo complesso apparentemente. Può essere utile, ad esempio, pensare ai vasi una volta caduti e rotti in mille pezzi: quando ne si assemblano nuovamente i cocci, lo stesso oggetto, non è più come appariva in principio.
Una riflessione sull’umano. Questo è ciò che alla fine emerge, una volta capito il cuore della collezione. Quello che siamo ora leggendo queste parole, già non lo saremo più quando arriveremo alla fine della frase. Mutiamo, costantemente. L’intento di Nakashima esprime tutta la nostra fragilità in abiti all’apparenza forti. Essi, infatti, si atteggiano a mo’ di scudo, per proteggere tutte le nostre fragilità. Partendo da questo discorso, potremmo leggerci anche una critica nei confronti degli eccessi estetici del mondo della moda, in cui sei se ti vesti volgarmente, ma in fondo, de gustibus…
I dettagli sono essenziali per capire il lavoro di Atsushi Nakashima. In particolare le scarpe, sono prodotte con stampante 3D e disegnate sempre con una tecnologia tridimensionale chiamata FDM method, ovvero fused deposition modeling. Anche per le pellicce ecologiche è stata trovata una soluzione che permettesse ai peli di non rovinarsi, grazie a una fibra chiamata kanecaron. Promettente.
ph: press office
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